IL GRANDE VIAGGIO (5)

IN  RICORDO  DEI  NOSTRI  MARTIRI
DI  INHASSUNGE

Durante una pausa dei lavori capitolari, con fra Ernesto Simba abbiamo visitato il cimitero di Coalane.

Ci siamo fermati a pregare sulla tomba dei nostri martiri fra Camillo Campanella da Francavilla Fontana, fra Francesco Bortolotti da Vigo Meano e fra Oreste Saltori da Vigo Meano martirizzati dai guerriglieri della Renamo a Inhassunge il Lunedì dell’Angelo del 27.03.1989. Gli stessi guerriglieri nello stesso giorno, dopo aver risparmiato la vita a fra Giocondo Pagliara da Campi Salentina lo rapirono per 40 giorni, liberandolo in Malawi il 5 maggio. Io lo incontrai a Lilongwe qualche giorno dopo, quando fu rilasciato dal pastore protestante che lo aveva avuto in consegna dalla Renamo.

Tra me e me, ho riflettuto sulla encomiabile richiesta che il vescovo di Queliamne, il frate minore dom Hilario da Cruz Massinga, ha fatto ai frati capitolari di nominare una commissione che faccia ricerche storiche sulla vita e morte di questi nostri martiri in vista dell’apertura del processo diocesano sulle virtù eroiche di questi frati che hanno donato la loro vita in testimonianza di amore per Dio e per i fratelli. 

Sono stato il primo testimone, insieme a fra Zaccaria Donatelli, del loro martirio. Ho visto le loro ferite. Ho raccolto i loro corpi. Ho potuto capire la dinamica dei fatti quando tutto ancora era intatto, proprio come i fatti erano avvenuti la mattina del 27 marzo verso le ore 7,25. Io ero arrivato 24 ore dopo. Nel tentativo di invadere o occupare il distretto di Inhassunge, i guerrilheiros della Renamo si scontrarono con una resistenza estrema dell’esercito regolare proprio intorno alla residenza dei nostri missionari.

Io ho visto i 29 corpi di  militari totalmente nudi e uccisi a baionetta sul greto del mucurro dietro la nostra casa. Io ho visto e raccolto i bossoli dei kalashnikov e di bazooka. Io ho potuto vedere il saccheggio operato dai guerriglieri e le tracce lasciate dai mezzi di trasporto saccheggiati dalla missione.      
Non ci sono dubbi che l’assalto sia stato condotto dalla Renamo. Non ci sono dubbi che siano stati i guerriglieri a martirizzare i nostri frati nella foga dell’assalto per raggiungere il gruppo di militari che ormai, inermi non poterono più opporre resistenza. Furono semplicemente denudati e uccisi all’arma bianca. Queste le ferite che vidi sui loro corpi.

Ogni tentativo di depistaggio ha sapore di partito preso, di un presa di posizione ideologica senza nessuna conferma dei fatti. Si vorrebbe far cadere la responsabilità del massacro dei nostri frati a chi professava una ideologia marxista, forse per raggiungere più facilmente la prova di essere stati martirizzati “in odium fidei”. Ma nella foga della guerra, si uccide in odio alla fede o perché difendo la mia vita uccidendo chi può uccidere me?

Mi domando: che senso ha sapere chi ha martirizzato i nostri frati; se lo ha fatto in “odium fidei” o per la furia assassina di uno scontro armato?
Domandiamoci e ricerchiamo non tanto su chi ha ucciso, ma piuttosto: Perché questi frati erano a rimasti Inhassunge dopo tante avvisaglie che la guerra si avvicinava alla loro casa? Perché non sono fuggiti o almeno abbandonato la missione in tempo utile? Non avevano in cuore di essere testimoni di Cristo? Non era nel loro cuore il desiderio di non abbandonare il gregge come il Buon Pastore?

Non avevano in cuore l’emergente desiderio di essere solidali, per causa del Signore Cristo Gesù, col popolo che soffre? La loro morte non è stata espressione di un amore alla loro vocazione? Si è martiri solo perché si è uccisi in “odium fidei” o anche per essere stati fedeli fino alla fine alla missione che il Signore Gesù aveva loro affidato? E chi può affermare che se fossero stati uccisi da altri, questi lo avrebbero fatto in “odium fidei”?

In ogni caso la mia testimonianza e lettura-ricostruzione dei fatti, come io li ho visti, è una testimonianza indiretta, fatta a 24 ore di distanza dall’evento. Ma non posso non porre ancora altri interrogativi.

Fra Giocondo Pagliara scelse di non accettare l’invito dei nostri martiri a uscire di casa per nascondersi nel nascondiglio (situato in un canneto-bananeto dal lato opposto della casa, ad almeno un centinaio di metri, deve si erano asserragliati i militari regolari e dove io li trovai nudi e uccisi a baionetta)  dove essi resero l’estrema testimonianza di fedeltà alla loro vocazione.

Egli rimase nella sua stanza e divenne l’unico testimone “auricolare” dei momenti più tragici e poi testimone “oculare”  quando gli fu concesso di avvicinarsi a fra Oreste, che giaceva ferito da profondi colpi di baionetta (come afferma il dottor Matteo Rebonato che con me, fra Guido Felicetti e fra Francisco Chiomio ha riesumato fra Oreste in località Binganjira dove lo ritrovammo coperto da un leggero strato di terra) , di confessarlo e di parlare con lui.

Tutto l’evento egli lo ha registrato in diretta scrivendo quanto udiva e di quanto gli raccontò Fra Oreste. Penso che quanto ha scritto fra Giocondo nel libro “Bazooka e sangue a Inhassunge - Quaranta giorni tra i guerrilheiros della Renamo” sia una testimonianza che non si può eludere insieme a quanto scritto da me e da fra Guido Felicetti, ambedue superiori regionali del tempo, nella relazione ai nostri superiori, pubblicato nella rivista “Missionari nostri” (numero speciale del mese di maggio del 1989).

Infine, pubblicata su questo sito, c’è una mia lunga riflessione dal titolo “Fuggire perché fuggire - In ricordo di fra Camillo Campanella”. Tra tutte queste relazioni e la versione data fa fra Giocondo nel suo libro ci sono delle discordanze. Molte sono state chiarite dalle autopsie per quanto riguarda il tipo di ferite che hanno causato la morte dei nostri martiri.

Altre si possono dire “fisiologiche”. Certamente però la versione di fra Giocondo nega chiaramente che elementi dell’esercito regolare abbiano assaltato o visitato la residenza dei missionari prima che arrivassero i guerriglieri della Renamo. Del resto frati, novizi e postulanti che erano presenti in casa per tutta quella notte, e tutt’ora vivi, non hanno mai raccontato cose del genere.

Questa insinuazione vorrebbe alludere che i frati sarebbero stati uccisi dai soldati dell’esercito regolare prima dell’assalto della Renamo alla residenza dei missionari. E allora: tutta cronaca in diretta di fra Giocondo sarebbe una sua invenzione romanzata?  …  Stiamo toccando l’assurdo! E qui mi fermo su queste ed altre illazioni che si vanno dicendo! Ma ancora ho una domanda da fare: quale importanza ha domandarsi: chi ha ucciso i nostri martiri?... quando sono stati uccisi? Con quale tipo di arma sono stati uccisi? (particolari, quest’ultimi che sono stati chiariti dalle autopsie, che qualcuno mette in dubbio definendole poco esatte!) Queste domande e le possibili risposte fanno parte solo della cornice dell’evento senza entrare nel cuore di esso.

Essì! Si tratta proprio di un evento di fede! Allora domandiamoci: perché questi fratelli hanno donato la vita? Quali le ragioni che li hanno motivati a non fuggire… a rimanere … a correre il “rischio” di rimetterci la vita? 
Scegliendo di rimane proprio lì nel cuore di una guerra fratricida, essi sono divenuti testimoni silenziosi di Cristo Signore e hanno lanciato il più vibrante grido di pace per un popolo martoriato!

Le risposte ce le ha date fra Oreste quando confessandosi disse a fra Giocondo: «Signore, ti offro la mia vita per questa povera gente che mi ha ucciso. Signore, non imputare loro questo peccato, essi non sapevano quello che facevano!»

E ancora più esplicitamente ce la ha date fra Camillo il quale, alla proposta di allontanarsi dalla residenza, disse: «Fuggire? Perché fuggire? Per me fuggire è come disertare il campo, abbandonare il gregge, la mia gente! Rimango qui per confortare, essere segno di speranza, succeda quel che succeda. Sono qui. Il Signore Gesù non ci lascia soli!».

… Ritorno ora alla mia visita alla  Memoria dei Martiri di Inhassunge.  A 28 anni di distanza dalla loro testimonianza, queste immagini testimoniano de sé quanto la loro memoria è presente nel cuore della gente della missione. Una famiglia che vuole battezzare il suo figlio nell’area della testimonianza dei nostri frati, tutta le gente che si raduna intorno a questo luogo “santo”… raccontano senza parole il senso delle tre vite donate!

Celebrando l’Eucaristia, e vedendo qualche animatore che aveva contribuito con giornate di lavoro, non ho potuto non raccontare come riuscii a costruire questa Memoria. Nella più totale mancanza di materiali edili (pietre, ferro e cemento ci erano stati donati da  anonimi amici!)… Ci sorprende a noi stessi che l’abbiamo costruita e come mai possa ancora essere intatta testimone di ciò che essa ci ricorda: il martirio di tre generosi missionari!

Toccanti queste immagini della folla che dopo la celebrazione in processione si reca alla vicina Memoria per pregare sul luogo del sacrificio. Sono sicuro che queste immagini raccontano meglio di qualunque ragionamento sulla eroicità del martirio dei nostri fratelli!

Ciao Inhassunge! Ciao popolo benedetto bagnato dal sangue di tre testimoni qualificati!


Fra Francesco Monticchio